giovedì 23 febbraio 2012

Seconda Classificata - Leyla Khalil

Seconda classificata dell'edizione 2012 del Concorso per il Racconto Più Brutto con 285 punti.
Un raccontino adolescenziale che narra i turbamenti di una cretina. Repertorio Moccia al completo: soprannomi inglesizzati, incoerenza psicologica dei personaggi, amore pseudo assoluto. Come se non bastasse, l'espediente narrativo di finale più abusato di tutti i tempi. Un glorioso secondo posto.

IL MASCARA SBAFAVA SULLE GUANCE

Di Leyla Khalil

Quella sera di marzo era una sera tutta strana. Mi sono messa in testa di dormire anzitempo perché volevo essere in piena forma per l'indomani, invece Lardo, il mio gatto, mi rincorse nei corridoi anche se lo fuggivo, mia mamma mi ricordò che avevo i compiti di casa da finire di fare. Che andasse a rompere i cocomeri a qualcun altro!!! Io avevo le farfalle nello stomaco per la prima volta nei miei quindici lunghi anni di vita. La mia testa e il mio cuore non volevano riuscire a smettere di pensare a Ken. Ken era il mio amore non corrisposto, da mesi! Ken aveva una partita di calcio l'indomani alle nove:preparavo una camomilla sul fornello più piccolo della cucina, in pigiama, per dormire presto per non arrivare in oratorio con le occhiaie agli occhi.
Era marzo, ma faceva un gran freddo gelido:ora che non ci sono più le mezze stagioni era sempre così. Non so se il freddo c'entrava forse qualche cosa, ma mi capitò una cosa assurda:gli occhi mi pizzicarono come se ci fosse entrato il peperoncino più piccante fino ad iniziare a lacrimare.
Il mascara nero sbafò sulle guance, scivolò giù fino alla teiera. Ho bevuto ugualmente la mia camomilla nera perché dentro ero di mille colori, ero tutta una frenesia di un arcobaleno in fremito.
Mi buttai sotto le coperte contenta e con i brividi gelidi su tutta la superficie della mia pelle.
Non riuscii a serrare un solo occhio per ore ed ore. Mia mamma camminava e mi sembrava che correva, Lardo si strusciava al muro e miagolava e mi sembrava che faceva un frastuono che sembra una bufera, Ken era dall'altra parte di Roma ma lo sentivo nel più profondo del mio cuore in ogni singolo istante...
Poi iniziò la partita. Mi sentivo strana, offuscata:forse era solo l'emozione, mi sono detta.
Prima del fischio d'inizio Ken mi ha vista a malapena, seduta sugli spalti:passò a darmi una pacca sulla spalla e mi fece l'occhiolino dal centro del campo. Aveva quegli occhi azzurri come il cielo d'estate:uno sguardo accattivante che mi mancava appena sbatteva le ciglia a causa del vento che svolazzava soave fra gli alberi. Era lui il mio ossigeno... Anche mentre correva dietro al pallone come un usignolo, io lo seguivo con il mio sguardo proprio come un anatroccolo seguiva sempre con lo sguardo la madre. Ho urlato ed ho poi applaudito con le mani ogni volta che egli prendeva il possesso del pallone tondo e sferico.
“Ci aspetta un avversario duro...” mi aveva detto.
“L'importante è partecipare:vedrai che andrà bene!!!” gli ho risposto...
Guardarlo correre nel campo era la cosa più bella da fare. La cosa più meravigliosa arrivò soltanto alla fine della partita più indimenticabile della mia vita. Stentai a crederci, eppure era così:dal campo Ken mi aveva tirato la sua maglia da gioco. Stanco, con un lungo rivolo di sudore sulla fronte che gli bagnava il ciuffo di capelli, aveva dedicato a me il suo fiatone, la sua traspirazione acquosa...Avevano vinto!!!
Il mascara sbafò sulle guance, finsi che era a causa dell'abbondante sudore della maglia che mi aveva gettato nella capigliatura, ma in realtà ho pianto di emozione, proprio come una bambina. Ken aveva giocato quei novanta minuti per me! Strusciavo addosso la mia reliquia, sulle gote e nei polpastrelli fradici. Poi la sbandieravo come una bandiera perché sapevo che niente sarebbe mai più stato come prima e gli urlavo “sei il mio eroe!” e poi gridai “TI AMO!!!”.
Ma non ho ascoltato mai la sua risposta.
Non potei mai e mai più sapere come è finita, perché la sua maglia bagnata di sudore all'improvviso era diventata la mia coperta ancora umida di quella saliva che con l'apparecchio si sbrodola sempre
dappertutto. Mi trovai in posizione obliqua sul letto ed erano state le campane leggere e spensierate a riportarmi all'improvviso al presente.
Era stato tutto un sogno.
Ho pianto ancora un po' e il mascara mi si sbafò tutto sulle guance paffute.
“C'est la vie”, mi dissi.

NdR: Racconto copiato e incollato esattamente come inviato dall'autore. Nessuna correzione o modifica è stata apportata.

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