giovedì 23 febbraio 2012

Terza Classificata - Gaja Cenciarelli

Terza classificata dell'edizione 2012 del Concorso per il Racconto Più Brutto con 283 punti.
Un racconto che nella sua versione più estesa è stato pubblicato nientemeno che da Nazione Indiana, un segno confortante che anche i più autorevoli punti di riferimento letterari riconoscono valore al brutto. Una storia traboccante vanagloria stilistica e autoriale. In compiacimento di una scrittrice convinta di lasciare il segno con un uso criminale del temporale come allegoria di passionalità. Un podio decisamente meritato.

IL TEMPORALE

Di Gaja Cenciarelli

Si voltò e fece l’occhiolino al sole, che si era spostato alle sue spalle. Era nascosto da una cortina di nuvole. Se ne compiacque: era l’unico modo per lei di tollerare e, in verità, di accettare l’esistenza del suo sfrontatissimo fulgore.
Percepiva la vita esploderle dentro: si guardò la pelle degli avambracci aspettandosi di veder erompere schizzi di energia da ciascun poro, di deflagrare e di andare in mille pezzi per il motivo più dolce: essere davvero. Dietro al parabrezza il cielo era sbrindellato dalle nuvole.
La bomba dentro di sé aveva iniziato a ticchettare dal mattino.

Perché quando era scesa dal treno c’era vento, un vento magnifico, e nemmeno una ditata, nemmeno una sbavatura mezza cancellata di sole. Era il dieci agosto ed era tutto grigio, di quel grigio gravido di promesse, un colore che è la fine e l’inizio, l’alfa e l’omega. E lei fremeva al pensiero di quella fine agognata da mesi, esultava all’idea di trovarsi lì, dove l’inizio – evidentemente - sarebbe arrivato prima.
Stava per scatenarsi un temporale. Lei li adorava.
Cos’era il temporale se non un’esplosione di vita, un ruggito, un grido, un’affermazione di sé?
Perciò non si stupì quando, scesa dalla macchina, le prime gocce di quella fastosa esplosione d’acqua le accarezzarono i capelli, le spalle, le gambe. Erano tutte carezze appassionate di un innamorato riconoscente.
Le accolse con un sorriso soddisfatto. Sapeva che il suo era un amore ricambiato.

Dopo che lui era andato a prenderla alla stazione erano passati a comprare il pecorino.
Le penne all’amatriciana le erano venute bene: come al solito le cose fatte all’ultimo momento e con pochissimo preavviso si rivelavano le più soddisfacenti.
Fuori pioveva. Il temporale si era placato: il grido era diventato un sussurro.
«Vado a riposare un po’. A dopo».
Lei era rimasta seduta. La musica si diffondeva dolce e bassa dalle casse. Tra poco lui si sarebbe svegliato, sarebbero usciti, sarebbero andati nel Luogo.

Erano le nove e un quarto.
All’orizzonte ampi squarci di lampi gialli spaccavano lo scuro.
Lei era agitata oltre ogni umana immaginazione.

Il temporale gli andò incontro sull’autostrada. Erano quasi le due del mattino.
«Ho i piedi ridotti in poltiglia…» disse lei, ridendo.
«Eri qui per questo. Cosa credevi? Che ti avrei riportato a casa dopo mezz’ora?»
«In effetti con te è stato tutto più spontaneo e naturale. Il maestro con cui mi avevi fissato la lezione era troppo ansiogeno. Mi si intrecciavano i piedi, avevo paura di sbagliare e puntualmente sbagliavo».
Lui abbozzò un atteggiamento della bocca a metà tra il sorriso semplice e la risata.
«Allora? Che ne pensi del tango?»
«Lo adoro!» rispose entusiasta.
«Lo sapevo. L’ho sempre saputo». Il tono di voce era calmo, la sorrisata, come la definiva lei, era la stessa di prima. «E sei leggera come un fuscello».
«Credo sia stato giusto averlo ballato con te, per la prima volta. Ballato… mi correggo: provato, ecco. Tu hai ballato».
Silenzio. Solo le carezze un po’ violente del temporale sul parabrezza. Insistenti e appassionate.
Le facevano male le caviglie e i piedi.
Amava quel dolore.
«Da quanto tempo non facevi le tre del mattino?»
«Da… be’ dall’ultima volta che sono andata in discoteca, vent’anni fa…»
«Vedi? Mai dire mai» disse lui, stranamente serio.
Lei aveva imparato a riconoscere i suoi improvvisi cambi di umore, la virata repentina – e che proprio perciò, all’inizio, le era parsa angosciante – verso la serietà, la bolla di nero nulla che gli si imponeva di colpo, i momenti in cui erano troppi i pensieri di ogni genere che gli premevano dietro agli occhi.
«Ti sembro il tipo che dice mai? Ti sembro il tipo che si arrende?» rispose lei, sorridendo divertita.
Anche lui tornò a sorridere.
«Ogni volta che vieni qui mangi, bevi, ridi, fai tardi… sembra proprio che tu inizi a vivere» disse.
Il temporale non accennava a placarsi.
Il profumo dell’abitacolo e della pioggia e del sigaro e la strada bagnata davanti. Il buio.
«Non ho mai avuto alcun dubbio che questa sia vita».

NDdR: Racconto copiato e incollato esattamente come inviato dall'autore. Nessuna correzione o modifica è stata apportata.

6 commenti:

  1. Io c'ero ieri sera ed ero seduta accanto alla simpatica signora autrice di questo racconto.
    Credo che in tutta la serata non ho sentito niente di così terrificante ,mi riferisco in particolare al fatto che dopo una serie di descrizioni accese su vita, carezze, temporali, ruggiti, grida e amori insoddisfatti....arriva il PECORINO a placare l'animo di questa sensibile protagonista.
    Fantastico!

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  2. Ben detto Fronza!!! Uno dei racconti più raccapriccianti senza dubbio, e di entrambe le edizioni del concorso!!!!

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  3. grazie, sono commossa.
    ricordo ancora le belle parole dei due opinionisti alla fine della mia esibizione.
    è stata un'autentica consacrazione per il mio talento.

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  4. Gaja, ti meriti tutto! Lo dico con autentica stima e ammirazione e tu lo sai :)

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  5. ora sento che la mia carriera di scrittrice ha un senso. ora che ho scoperto quanto può essere potente il pecorino so cosa devo fare!
    grazie, carolina!

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  6. Il mio unico rimpianto riguardo a questo concorso è NON POTER PARTECIPARE io stessa con qualcosa di brutto mio. Ma quando si piazzano sul podio racconti come il tuo, Gaja, allora SO che il mio sacrificio non è stato vano, che tutto quello che ho fatto per renderlo possibile ha avuto senso. GRAZIE.

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