Sara
Milla - Bicicletta
Bicicletta,ruota
ai bordi dei fossi serpeggia il vento e gli aghi dei pini si
irrigidiscono nella brina.La terra scricchiola cosi’duramente che
sembra spaccarsi come sotto il passo d’un angelo pesante.Tutto
avvolge il silenzio.Anche la mia anima era strettamente fasciata nel
silenzio.
Fin dal ricordo del pensiero la mia anima si stringeva nell’attesa.Il vento il vento taglia quieto i bordi del prato,e fronde sconosciute mi battono il viso.Altri richiami rapiscono la mia mente.Mentre percorrevo in bicicletta la fredda strada che mi separava dalla casa del mio amico,rapidamente verificai un cosi’ ondivago mutamento delle mie sensazioni fuggevoli e calde contro il freddo della giornata,da sentirmi cosi’ aspramente viva da soffrirne.Incalzai la bicicletta e mi accorsi che gelate,sulle labbra erano scese delle lacrime di felicità.Come se sulla mia fronte fosse passata l’ombra d’un angelo lieve e povero.La casa del mio amico era rossa e le finestre erano grigio ardesia.Respirai ed entrai.Il freddo era bagnato e mentre respiravo il vapore mi usciva dal naso.Ma la bellezza di quello che avevo di fronte mi impedi’ di sentire altro.Nella penombra grandi tele,con grandi occhi mi indagavano.Occhi che si davano,colori che fluivano dal quadro alla mente e rifluivano indietro,in un delirio di luce.Un sogno perduto le abitava.Cominciai a sentirmi pur nell’ingorgo dei sentimenti,a mio agio.Il giorno successivoricominciai a sentirmi inquieta.La casa della mia amica,dopo la discesa spuntava in cima ad una salita perticosa e sudata di fango pensavo rotolerò nel fango.Ma scoprii d’essere forte senza forzare e arrivai di fronte al viale ad una casa rosa.Ai bordi delle scale vasi di reclinate ortensie.Sulle pareti fu piacevole scoprire le parole.Poesie e poesie,ed ero dentro ad ogni parola e alla sua immagine evocata.E quando venne il buio a farmi luce nella mente rimasero le scene che tutte quelle parole avevano suscitato in me.Mi misi una mano sul petto,all’altezza del cuore,che batteva sommesso e appagato.La parola è divina.Al mattino pedalavo e il ritmoclangante della catena mi regalava un entusiasmo infantile.Il vento mi accompagnò sulla porta di una casa grigia.Alle pareti qualche bella foto.Avrei voluto scuotere da me quell’improvviso dolore sfiduciato che adesso mi troncava le gambe.Non salii sulla bicicletta.Mi accompagnai a lei,come un vecchio ad un bastone.Immusonita,la trascinai e le sue ruote suonavano come la voce d’un gatto.In lontananza vidi la casa bianca e mi fermai.Una fitta dolorosa mi attraversava la fronte.Fu allora che li vidi muovere,una figura di dritti angeli migranti.Un flusso di ali e richiamisu nel cielo.Restai tesa a guardarli finchè non scomparvero.Non sarebbe passata la notte senza che anch’io migrassi.Raggiunsi la casa bianca.Cantai una vecchia canzone del cuore rimasta incollata alla mente cosi’ com’era rimasta incrostata questo poco di forte vita.Quando cominciò a cadere la neve anch’io divenni bianca e leggera e volai via.
Fin dal ricordo del pensiero la mia anima si stringeva nell’attesa.Il vento il vento taglia quieto i bordi del prato,e fronde sconosciute mi battono il viso.Altri richiami rapiscono la mia mente.Mentre percorrevo in bicicletta la fredda strada che mi separava dalla casa del mio amico,rapidamente verificai un cosi’ ondivago mutamento delle mie sensazioni fuggevoli e calde contro il freddo della giornata,da sentirmi cosi’ aspramente viva da soffrirne.Incalzai la bicicletta e mi accorsi che gelate,sulle labbra erano scese delle lacrime di felicità.Come se sulla mia fronte fosse passata l’ombra d’un angelo lieve e povero.La casa del mio amico era rossa e le finestre erano grigio ardesia.Respirai ed entrai.Il freddo era bagnato e mentre respiravo il vapore mi usciva dal naso.Ma la bellezza di quello che avevo di fronte mi impedi’ di sentire altro.Nella penombra grandi tele,con grandi occhi mi indagavano.Occhi che si davano,colori che fluivano dal quadro alla mente e rifluivano indietro,in un delirio di luce.Un sogno perduto le abitava.Cominciai a sentirmi pur nell’ingorgo dei sentimenti,a mio agio.Il giorno successivoricominciai a sentirmi inquieta.La casa della mia amica,dopo la discesa spuntava in cima ad una salita perticosa e sudata di fango pensavo rotolerò nel fango.Ma scoprii d’essere forte senza forzare e arrivai di fronte al viale ad una casa rosa.Ai bordi delle scale vasi di reclinate ortensie.Sulle pareti fu piacevole scoprire le parole.Poesie e poesie,ed ero dentro ad ogni parola e alla sua immagine evocata.E quando venne il buio a farmi luce nella mente rimasero le scene che tutte quelle parole avevano suscitato in me.Mi misi una mano sul petto,all’altezza del cuore,che batteva sommesso e appagato.La parola è divina.Al mattino pedalavo e il ritmoclangante della catena mi regalava un entusiasmo infantile.Il vento mi accompagnò sulla porta di una casa grigia.Alle pareti qualche bella foto.Avrei voluto scuotere da me quell’improvviso dolore sfiduciato che adesso mi troncava le gambe.Non salii sulla bicicletta.Mi accompagnai a lei,come un vecchio ad un bastone.Immusonita,la trascinai e le sue ruote suonavano come la voce d’un gatto.In lontananza vidi la casa bianca e mi fermai.Una fitta dolorosa mi attraversava la fronte.Fu allora che li vidi muovere,una figura di dritti angeli migranti.Un flusso di ali e richiamisu nel cielo.Restai tesa a guardarli finchè non scomparvero.Non sarebbe passata la notte senza che anch’io migrassi.Raggiunsi la casa bianca.Cantai una vecchia canzone del cuore rimasta incollata alla mente cosi’ com’era rimasta incrostata questo poco di forte vita.Quando cominciò a cadere la neve anch’io divenni bianca e leggera e volai via.
Recensione
Un densissimo gorgo di flussi di
pensiero joyciani, soffocante fin dalla scelta estrema di impaginare
tutto attaccato. Oscuri squarci alla Allan Poe addensano nubi sulla
protagonista e ancora via di sensazioni espresse tramite parole
insensate e fuori contesto. Esoterismo pagano in salsa black metal
norvegese e cesellature dannunziane. Finale ultraterreno che fa
gridare di dolore. Tutto questo per dire: in fondo in fondo, di che
cazzo stiamo parlando? Di una bicicletta appunto, una bicicletta che
porta dritta nel Valahalla.
Genio o infamità: nel dubbio comunque capolavoro del sordido.
Ascoltando la lettura e conoscendo l’autrice non ho avuto dubbi: capolavoro pretenzioso del brutto, impenetrabile come una formula cabalistica in aramaico.
Genio o infamità: nel dubbio comunque capolavoro del sordido.
Ascoltando la lettura e conoscendo l’autrice non ho avuto dubbi: capolavoro pretenzioso del brutto, impenetrabile come una formula cabalistica in aramaico.
Frank Solitario
è quasi quasi coinvolgente :D
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