martedì 23 aprile 2013

Settimo Classificato - Oggi sono andato nell'orto

Per una comprensione più completa del racconto vi invitiamo a leggere, in coda, la recensione del critico letterario Frank Solitario.


Antonio Giannantonio (aka Squaderna)
Oggi sono andato nell'orto



E ho incontrato una lucertola, un'ape e una farfalla. La lucertola primo è stato veloce, correva l'qualche filo d'erba e di tappeto erboso tra il raggrumato e asciugato dal sole. L'ape invece svolazzava a zig-zag, era nervoso. La luce cadde sulla realizzazione di gelatina brillante come un mostro, forse è un calabrone: era un calabrone.
La farfalla procedeva a scatti, movimenti irregolari tra alberi da frutto e fiori pochi sparsi qua e là. Le sue ali con macchie bianche da qualche altro colore, a causa del sole e per suoi movimenti veloci non riuscivo a distinguere bene. Il mio intervento aveva provocato qualche disagio nel loro girandolare. Mi sono seduto in ombra al riparo e a tutti e tre ho detto: "Che succede? Io non sono venuto per niente di male. Sto solo controllando il sito, se avete bisogno di acqua o di irrigazione." "Fate quello che volete, ma qui le cose sono in ordine", ha detto la lucertola, si affaccia dietro una cartaccia abbandonata a terra, "Qui si continua a fare cose che facciamo ogni giorno, a mezzogiorno e in questo momento corriamo, sentiamo l'odore delle cose che marciscono al sole." E il calabrone: "Ci sono solo le povere bestie, come possiamo mettere un po' di pressione su un cristiano bell’e vaccinato come te, non credi?" "Ci sono molte cose che si può credere, ma tra tutte queste cose non è sempre facile scegliere una per una combinazione o l'altra, possono o non possono venire a corrispondere la scelta di credere o non credere quanto sopra, o almeno credendo le cose che inevitabilmente si possono credere nel futuro." sputai d'un fiato. Ci fu un momento di silenzio. Il terreno era già magro e il vento soffiava via i granelli di piumini da cipria. Le nuvole, beh non so esattamente che cosa stessero facendo in quel momento le nuvole, stavo guardando questi simpatici animali per la mia sventura.

"Tu sei uno che ama di credere in un sacco di cose, ho capito." disse il calabrone.

"Il fatto che sei venuto qui per rompere l'anima non è altro che la prova che il mondo se ne sta scivolando via smarmittando; ascolta un attimo quel che sto per dirti..." accennò in alto con la testa prima di tornare a guardare in faccia a me, "Hai sentito? Tu lo senti nel cielo? … E' pieno di stronzi che cip cip: pigolano... Che ne pensi?"

"Non lo so... Ridono, parlottano, si fanno gli scherzetti…” abbozzai divertito.

"No, ti sbagli. Sono contorcendosi per il dolore che provano. E quello che si sente è colpa tua! La verità più grande - che probabilmente non sarò in grado di dire qualcosa di divertente, purtroppo anche per il nostro lettore - è che la gente non frega niente se il pianeta continua ad esistere o meno. Abbiamo rotto, stiamo crepando. Lo vedi?"

"Vai via e ci lasci soli qui a fare come diavolo ci pare." disse la farfalla.

"Tu vai via e non sbattere la porta troppo duro quando vai." di rimando il calabrone.

Non capivo quello che stavo cercando di capire anche io stesso. Il cluster di parole confuse e provocò l’effetto della peggiore specie per un oratore e fu allora che mi resi conto che forse il mio cervello stava scarrellando un po' troppo. In campagna l'aria era ferma. Le nuvole erano gruppi di pallocche bianche, sporgevano al di fuori del cielo inverosimilmente aveva perso, il passo verso di loro. Il cielo intendo, aveva perso il passo nei confronti delle nuvole. Vedendomi così assorbito la lucertola verde vivace riprese la parola, " Le cose non sono sempre eseguite come è il mondo che vogliamo. E voi, volenti o nolenti ci dovete stare, e ora sali sulla carretta e lasciaci in pace."

La farfalla stava facendo spiluccare addossata a un fiore con uno stelo sottile.

Il calabrone è stato rubato per rispondere alla chiamata della corteccia di un albero di prugne.

Tutti sono stati completamente disinteressati da me, e ora tutti erano esclusivamente al servizio dei fatti propri. Anche la lucertola cominciò a correre tra le vie di terra coltivata. Stavo appollaiato un attimo a terra prima di alzarmi in piedi. Una leggera brezza accarezzava le mie guance e le orecchie, allora anche la parte bassa del collo. In lontananza si sentiva il rombo debole di un trattore. Era uno di quei grandi, uno potente di quelli con ruote in gomma giganti.

Prima di essere giunto a casa mi sono reso conto di come impegnativo è stato il giorno. Ora sono qui nella mia stanza e tutto là fuori sembra funzionare ancora come al solito. Credo che a questo punto tutto quello che devo fare è - come sempre la madre dice - limitarmi ad essere un bravo bambino.


Recensione

Capolavoro. Pura avanguardia espressiva sgrammaticata. Tutto sommato l’incontro con la grammatica nell’essere artista (grammatica musicale, pittorica o in senso stretto letteraria) è un puro incidente, una occorrenza del tutto fortuita, come ha dimostrato il punk rock. Si può essere artisti dentro e non aver mai avuto l’occasione, per scelta o per destino, di incontrare l’alfabetizzazione.
La prima frase completa l’incipit che in realtà è introdotto dal titolo: geniale.

La trama surreale è quella di una discesa all’orto tra Esopo e Cortazar.
Insomma, Antonio Giannantonio in arte “Squaderna”, vince già dal nome-cognome-pseudonimo e come dicevo, dall’incipit-titolo.
Una vera chicca. E’ veramente perfetto così com’è: rappresenta allo stesso tempo in modo verista la psicologia dello pseudo-agricoltore sgrammaticato protagonista e le sue surreali e psichedeliche vicende nell’orto.
Dal vivo ho avuto l’impressione che l’ottimo autore abbia creato un nuovo linguaggio letterario: trasmissione di lessemi sardi via telegrafo a un lettore non udente e non vedente.


Frank Solitario

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