Gino
Sallustri – L'esistente inesistente
La
cantina era buia e fredda le scale scivolose e scoscese, ma
nonostante l’angoscia mi bloccasse dovevo farmi forza dovevo
scendere giù e cercare quelle foto che raccontavano il nostro amore.
Cercai l’interruttore la lampadina fece un rapido flash per un momento tutta la stanza s’illumino poi ripiombò nel buio, “cristo” esclamai in preda a un furore indicibile perché perché tutto era contro di me; rifeci alla svelta i tre scalini appena scesi mi diressi verso il canterano all’entrata, aprii il primo cassetto e afferrai la torcia. Corsi nuovamente verso la cantina con la torcia accesa, al terzo scalino già il buio mi avvolgeva precipitandomi in una morsa ghiacciata di pensieri terribili, solo la torcia con il suo flebile cono di luce mi impedi di accasciarmi per terra in preda alla disperazione.
Cercai l’interruttore la lampadina fece un rapido flash per un momento tutta la stanza s’illumino poi ripiombò nel buio, “cristo” esclamai in preda a un furore indicibile perché perché tutto era contro di me; rifeci alla svelta i tre scalini appena scesi mi diressi verso il canterano all’entrata, aprii il primo cassetto e afferrai la torcia. Corsi nuovamente verso la cantina con la torcia accesa, al terzo scalino già il buio mi avvolgeva precipitandomi in una morsa ghiacciata di pensieri terribili, solo la torcia con il suo flebile cono di luce mi impedi di accasciarmi per terra in preda alla disperazione.
Arrivai
giù fra vecchi scatoloni mobili in disuso giocattoli appartenuti a
chissà chi e dipinti di mia nonna, la mia cara vecchia nonna che
aveva sempre creduto nel nostro amore, che l’aveva immortalato in
uno dei suoi quadri più belli durante quella gita al lago di Garda.
La mia cara vecchia nonna che ti aveva amato come una nipote, anzi di
più come una figlia. Agredii il primo scatolone che mi si parse
innanzi, cercai di sfilare il nastro adesivo che lo sigillava, prima
con le dita poi con le unghie poi furioso cercai di addentarlo, ma il
nastro resisteva, nello sforzo di tenere il grosso peso vicino alla
bocca caddi a terra lasciando scivolare la torcia due metri più in
là. Mi rialzai recuperai la torcia e con più calma riuscii a
scollare il nastro, scostai le lingue di cartone ma dentro c’erano
solo vecchie pentole e assortiti utensili da cucina, imprecai e
continuai a cercare. Dopo aver aperto altri innumerevoli scatoli che
contenevano altri scatoli che contenevano buste che avvolgevano
oggetti diversi e inutili finalmente trovai il nostro album quello
che raccontava la nostra storia.Come puoi dire che io non ti ho mai
amato se solo tu hai dato senso ai giorni miei, come puoi rivolgerti
a me con tutto questo biasimo con questa acredine quando un tempo
nemmeno troppo lontano anelavi ad esser la madre dei miei figli. Come
posso continuare a vivere se l’unica persona che ho amato afferma
di non esser mai stata amata, così vano è dunque il mio amore così
inutile il mio sentimento così amara la mia cura. Ma ora ho l’album,
l’album della nostra storia con la gita al lago le cene con gli
amici le estati nei resort di tutto il mondo. In quelle foto tra
quegli sguardi tra i nostri abbracci tra sorrisi ricambiati e
occhiate d’intesa io potrò ricordare d’avere amato e di essere
stato ricambiato. Salgo su tenendo il prezioso cimelio ben stretto
nella mano destra mentre con la sinistra impugno la torcia facendomi
luce tra gli scatoloni aperti e il loro contenuto riversato per
terra, faccio gli scalini a due a due, ho un magone forte che mi
stringe al petto per placarlo stringo il mio tesoro tra le braccia,
lasciando cadere la pila ancora accesa mi lascio cadere in ginocchio
sollevo la copertina, sulla prima pagina c’è una dedica,
sicuramente la tua, anche se non riconosco la grafia. Comincio a
sfogliare ma l’orrore mi investe come un treno merci lasciandomi
muto sordo e nudo, nessuna foto, nessuna neanche un ritaglio un
negativo una diapositiva, nulla, niente di niente, la stanza comincia
a girare tutto diventa grigio poi tutto diventa nero e prima che
l’ultimo respiro esali io comprendo, comprendo di non aver mai
amato e di non essere mai esistito.
Recensione
Gino rappresenta lo scrittore che,
inconsapevole della propria totale mancanza di mezzi linguistici, si
lancia a capofitto nella narrativa come Bocelli alla guida di un
deltaplano a motore. Mancanza di punteggiatura, trama da ergastolo, a
tratti sfiora il sublime nel suo impeto violento che intende
rappresentare fedelmente i sentimenti del protagonista e pensi quasi
che…no invece, il racconto è veramente pessimo.
Lo testimonia il titolo, ossimoro pretenzioso per quanto vuole stupire e spiegare quello che non si può capire, ma che si deve solo osservare: l’infamità.
Lo testimonia il titolo, ossimoro pretenzioso per quanto vuole stupire e spiegare quello che non si può capire, ma che si deve solo osservare: l’infamità.
Frank Solitario
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