Federico
Mastrolilli - Aahrus
In mezzo alla
tela che stava dipingendo, una tela ancora vergine a dir la verità,
la mia amica mi fece spingere il dito, dopo averlo intinto nel colore
blu scuro. Non era un buon inizio, ma non glielo dissi.
-
Perché vi siete lasciati con Nina? – mi chiese all’improvviso.
-
Perché siamo due cose in sé kantiane. Per quanto possiamo
sforzarci, non potremmo mai conoscerci nella profonda intimità. La
sua realtà più profonda mi sfugge, oltre a quello che vedo c’è
qualcosa, solo non riuscirò mai a conoscerlo – le risposi.
-
Ma sei sicuro che è così importante, addirittura irrinunciabile? -
-
Sì. L’incomunicabilità è la morte di qualunque storia -.
-
Ma anche i silenzi dicono molte cose! -
-
Questo è vero, ma non si può stare sempre a interpretare i silenzi
-.
-
Hai provato a venirle incontro? -
-
No. Non credo di averne molta voglia. E poi lei non l’ha fatto -.
-
Parli come un ragazzino -.
-
Io non cambio, lei non cambia, era chiaro che le cose non potevano
cambiare -.
La
mia amica fissò per qualche secondo la tela, poi di nuovo me.
-
C’è mai stato amore? -
-
Direi di no. Il fatto che quando stavo con lei desideravo sempre
toccarla, baciarla, è abbastanza brutale da uccidere l’amore? -
-
Magari possono coesistere entrambe le cose -.
-
Tu hai mai amato un ragazzo che non desideravi sessualmente? -
-
Amato in che senso? -
-
Nel senso che l’hai portato a letto -.
-
No, mai -.
-
E senti che hai veramente amato? -
-
Sì, qualche volta -.
-
Allora le due cose possono coesistere -.
-
Così pare -.
-
Non ci credo, a me non è mai successo –.
-
Neanche per un attimo? -
-
Cosa intendi per un attimo? -
-
Voglio dire, mentre le sfioravi i capelli, e le accarezzavi la
schiena, e la baciavi sulle labbra, e la guardavi negli occhi, e lei
ti stringeva forte, non ti è mai venuto in mente che forse quella
era l’esplicazione materiale di quello che provavi? -
-
Il punto è proprio questo: non so cosa provavo –.
-
E ora lo sai? -
-
Sì. Penso che ho sbagliato tutto -.
-
Tutto? -
-
Decisamente -.
Mi ero
sbagliato. L’impronta del mio dito era il tocco finale dato
dall’estro creativo della mia amica al suo quadro.
Oltre la fine
del mondo c’è la casa di Nina. Tutta di legno, col tetto grigio.
La sabbia è chiara, diafana come la pelle di sua madre. Il mare è
blu, più scuro del colore sulla tela della mia amica. Quando non
abbiamo voglia di passeggiare per la città, di bere frullati nei
caffè, di guardarci negli occhi seduti al parco, allora prendiamo la
macchina e veniamo qui, e facciamo l’amore nella cameretta del
secondo piano, quella di sua sorella, quella col letto grande.
Restiamo lì, senza parole, stesi sul piumone bianco, fissiamo i muri
chiari, e aspettiamo che il padre torni dal lavoro. La sera la madre
cucina il pesce, mangiamo nella sala da pranzo, il camino brucia alle
nostre spalle, il rumore delle onde che sbattono sulla spiaggia si
mischia a quello del legno che crepita, la mano di Nina sfiora la mia
sotto il tavolo.
Ho deciso. Non
farò mai più nulla per procrastinare la felicità. È così
difficile trovare l’amore, e io sono stato fortunato, perché mi è
bastata poca vita. L’ho scritto alla mia amica pittrice. Nella sua
lettera di risposta, tra le altre cose, mi raccontava che aveva
venduto il quadro con solo l’impronta del mio dito, e finalmente
una galleria le aveva offerto di fare una mostra personale. Le ho
risposto che ero felice, e che Kant si sbagliava.
Recensione
Il racconto non è affatto male, non
sfigurerebbe in un concorso letterario riservato alle scuole
elementari. Ritmato e dialogato, intellettuale a casaccio il giusto
(le cose in sé kantiane). Pretenzioso si, ma come può esserlo un
liceale, quindi senza le vette di abominio vanaglorioso proprie di
chi ha già il famoso cassetto ricolmo di manoscritti fetidi.
In conclusione strappa un dignitoso “nulla di fatto”, salvo per la genialata delle cose in sé kantiane che avrebbe fatto sperare in peggio.
In conclusione strappa un dignitoso “nulla di fatto”, salvo per la genialata delle cose in sé kantiane che avrebbe fatto sperare in peggio.
Frank Solitario
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