sabato 17 maggio 2014

Il racconto vincitore: L'uccello del malaugurio di Giuliana Mazzei

Cari e care amanti del brutto vanaglorioso, la finalissima di ieri è stata un trionfo, grazie a tutti voi presenti in sala, grazie agli eccellenti critici letterari (li amo) Claudio Morici, Christian Raimo e Sardone che hanno commentato sapientemente gli orrendi racconti in gara, grazie ai mitici Niccolò e Stefano del servizio di streaming TheConference, che nei prossimi giorni diffonderanno i succulenti video della serata, ma soprattutto grazie agli impavidi autori dei racconti finalisti, che ci hanno regalato risate inenarrabili.

In particolare sono molto fiera del voto della giuria in sala e della classifica finale che vi riporto qui sotto, esprimendo i miei più sinceri complimenti al racconto vincitore, L'uccello del malaugurio (che pubblichiamo per intero qui sotto), e alla sua immensa autrice, Giuliana Mazzei, che si aggiudicano strameritatamente il primo premio della IV edizione del Racconto Più Brutto.

Ecco a voi la classifica finale, gli altri premi assegnati, e di seguito il racconto vincitore per intero:

  1. L'uccello del malaugurio - Giuliana Mazzei
    260 punti!!

  2. Annegare – Angela Galvan
    256 punti
  3. Amore nel Metrò – Davide Schito
    245 punti
  4. Nostos Mancato – Andrea Tupac Mollica
    204 punti*** (vedi in fondo al post)
  5. Mente Solitaria – Fabio Carroccia
    183 punti
  6. Io, L'eremo e suor Marta – Carlo Antonicelli
    135 punti
  7. La versione di Nutria – Roberta Moretti
    114 punti

Gli altri premi:
PREMIO DELLA CRITICA 
Mente Solitaria, di Fabio Carroccia

PREMIO DEL TELEVOTO - ex aequo:
- Annegare, di Angela Galvan
- Io, l'eremo e suor Marta, di Carlo Antonicelli
- Nostos mancato, di Andrea Tupac Mollica

Dunque, amici e amiche del brutto vanaglorioso, è con indicibile orgoglio che vi presento il racconto vincitore di questa indimenticabile IV edizione del Racconto Più Brutto:

L'uccello del malaugurio
di Giuliana Mazzei

Chi sei?
Come non lo hai ancora capito? Sono il tuo uccello del malaugurio. Le nostre strade si intrecciano sempre. Chi ti manda? Forse quell'affascinante diavoletto che viene a trovarti nei tuoi sogni ricorrenti.
Lacrime che sgorgano, nere impresse lì, su quel quadro buttato là e forse obliato. Fogli svolazzano nell'aria, impregnata di odore acre di fumo e alcool.
Forse troppa solitudine? Vivere senza chiedersi in continuazione il perché.Voragine, vuoto incolmabile. La vita per Camilla è poesia. Quanti deliziosi turbamenti nella sua mente maldestra e disordinata. Foglietti sparsi in giro.
Camilla sognare si è bello, ma a volte la realtà ti schiaccia.
Reagire alla monotonia!
Imperativo solenne che echeggia. Veramente fai parte della terza specie? Ma che animale sei? Forse un bel gattino, che solo con una carezza comincia a fare le fusa. Come sei incredibile e bizzarra!
Chi ti ha mandato qui?
Il nulla impetuoso uccide il mondo. Soccombi. Poi però per qualche strana forza di gravità ti rialzi sempre. Ma a cosa aspiri davvero alla luce o alle tenebre?
Io ti vedo così: raggiante e cupa allo stesso tempo. La tua ancora di salvezza i sogni che custodisci lì, in quella soffitta segreta, angolo nascosto della tua mente.
Pensi e ripensi ai torti subiti. Poi ti lamenti per giunta del tuo ultimo corteggiatore. Vabbé aveva l'alito cattivo ma poverino che colpa ne aveva?
Dici di te stessa cose assurde: Addirittura che sei romantica!Calpesti i fiori e te ne freghi della raccolta differenziata! Non hai scuse. Morirai sola.
E vuoi pure essere cremata per non lasciare tracce di te sulla terra, però scrivi e dipingi, chissà per chi, se non per i posteri! Il tuo talento é nascosto, quasi invisibile; o incomprensibile?Sei così. Mutevole. Lunatica. Impavida.
Adesso si fa sul serio però devi concludere qualcosa. Devi arrivare a un traguardo, uno qualsiasi.
Che farai? Pensa positivo. Tutto passa Camilla. Anche il dolore? Certo! O lo vuoi custodire gelosamente come se fosse il tuo "salvatore"? Beh soffrire è stare strettamente agganciati alla realtà.
Ti innamori troppo. O tutto o niente, non è tutto bianco o nero Camilla. La vita è anche fatta di sfumature. Quelle che lasci là impresse nei tuoi quadri? No, non quelle e lo sai. Quelle dell'anima e della psiche.
La vita è lunga e emozionante, lo sai? Tanti dicono che è un "mozzico", ma per noi no, vero Camilla? A volte guardi fuori, sposti la traiettoria dell'osservazione e scopri di non essere tanto sola.
Hai mille interesssi che parcheggi lì. Artista? Ma de ché. Incompresa sempre, da una vita.
Aspiri all'emancipazione e ti ritrovi in camera a leggere libri tipo: "Su con la vita Charlie Brown." Bizzarrie.......Follia. Quando ti innamori impazzisci.
Sei proprio un personaggio. E canticchi in continuazione per farti compagnia. E il rapporto con Luca? Ingarbugliato sempre.Ma dove vuoi andare a finire?
Nel letto di chi? Di nessuno. Ho chiuso con l'altro sesso. Ma ne siamo proprio sicuri, Camilla? Adesso rilassati e pensa. E' questa la vita che avresti voluto: confusa e piena di dubbi?
Sono sempre il tuo uccello del malaugurio. Te ne sei dimenticata? Sono troppo buono con te. La negatività ti rimbalza. Soccombo. Hai vinto. La vita un lungo viaggio pieno di contraddizioni, dove a volte emerge l'amore.
Stare con te è stimolante, è bizzarro è già tutto vita. A me va bene così. Uccello del malaugurio ti ho incastrato e riconosciuto.
Penso per tua sfortuna che non ti abbandonerò mai.

Cara GIULIANA MAZZEI, benedetto il giorno che mi hai mandato questo tuo orripilante racconto per partecipare al concorso!!! Sei una grande e io ufficialmente ti adoro. 


 

Concludo ringraziando i miei AMATI SPONSOR, grazie ai quali è stata realizzata questa meravigliosa IV edizione del Racconto Più Brutto, invitandoli a riconfermare il prossimo anno le loro quote e magari ad aumentarle così da potermi permettere di assoldare un paio di schiavetti per il conteggio dei voti!!!

RiccioCapriccio – Parrucchieri in Roma
TheGhost Writer – Agenzia letteraria
Mangialibri – Blog dedicato a chi i libri li divora
Esercizidi Stile – Invito alla lettura e alle recensioni di libri
Comune Urupia – Progetto libertario e vini biologici
BlogItaliano – Un blog a 360°

Di seguito gli altri racconti in gara:

2° Classificato:
Annegare – Angela Galvan
È quasi sera e il sole sfiora il confine tra mare e cielo, così confuso… indora la spiaggia e mi chiedo quanto distante sia quel punto. Voglio raggiungerlo. “attente alle mie scarpe”, grido alle mie amiche che con un gelato godono dell’ultimo chiarore prima che la brezza si porti via anche la voglia di osservare quel miracolo. Avevamo passato un intero pomeriggio tra tuffi asciugandoci al sole;, era stato divertente, ma, ma c’è sempre un ma; un particolare inadatto talmente piccolo da non poter essere superfluo. M’attira verso l’ignoto calmo, il mare, dotato di una forza misteriosa; sono sicura, tra poco le onde si faranno voraci e ingoieranno il mondo.
M’avvio, m’addentro, vestita. Gli abiti mi si attillano, poi si gonfiano. Passo minuti soavi nell’acqua fredda che carezza i miei piedi, passo dopo passo: sto bene. Mi avvolgo di quei brividi come fossero una coperta, le onde, e non nuoto; cammino, ancora un po’. Poi non tocco più ed è come volare, prendo una boccata d’aria e guardo il sole rosso, il mare dello stesso color sangiue, il cielo che si riflette in esso. Venere compare, io m’immergo. Inganno gli uccelli che volano sopra la mia testa, essi credono io stia danzando. Invece anelo. Una flebile figura solitaria che ascolta il frastuono del silenzio… Tengo gli occhi aperti e vedo i miei lunghi capelli disperdersi intorno. Intorno, oltre i miei capelli: acqua. Quanto tempo posso stare senza respirare? Anelo ancora nel tentativo di restare in superficie ma scopro di essere troppo in basso, e forse, va bene lo stesso. Non tocco il respiro, ingoio sale e lacerazioni, ma nonostante sprofondo sinuosa, nel profondo… l’acqua è nera e bella, dimentico pene e peccati in un cupo sorriso che sfiora l’eterno. L’acqua che mi chiamava non mi restituirà, la corrente mi trasporta al largo e non posso resistere.Percepisco quasi l’oblio ritrovando pace di paradisi lontani.


3° Classificato
Amore nel Metrò – Davide Schito
Non dimenticherò mai quel breve eterno istante in cui i miei occhi si persero nelle sue iridi sfavillanti. Come ogni mattina ero uscito presto di casa per recarmi al lavoro con i mezzi pubblici, nonostante il mio odio dichiarato per i mezzi pubblici in particolar modo la metropolitana. Migliaia di persone strette nella morsa di un tubo senza aria, nessuno che si parla, tutti con l’iPod nelle orecchie a volume altissimo, nonostante Milano sia una città con tantissimi abitanti e bellezza ma col vizio che allontana gli individui, distratti dall’eccesso, dall’ostentazione, dai vizi.
Ho sempre avuto l’abitudine di scrutare il più singolo movimento ed espressioni della gente, domandandomi cosa pensino tutto il tempo, e in fondo al cuore sono convinto che anche molti di essi quando guardano il sottoscritto sono portati a pensare le stesse cose.
Ero intento a portare a termine quest’attività quando la intravidi al centro delle porte della metropolitana. Fu allora che i nostri sguardi toccarono vicendevolmente le nostre anime e ci legarono l’uno all’altra in maniera indissolubile. Eppure non avevo mai visto quell’angelo del cielo e non ero il tipo di ragazzo che si lascia andare così negli innamoramenti subitanei e incontrollati. Era successo quello che avevo sempre sognato e immaginato, nei pomeriggi che passavo annoiati e pensierosi, nel buio fra le quattro mura della mia stanza. Incontrare la ragazza dei miei sogni, il quale era sempre stato solo un’impresa impossibile, un miraggio nel deserto delle mie emozioni. Esse, fino alla vista di quella bellezza extraterrestre, erano sempre state un rebus persino per me, il loro possessore.
Ora avevo un nome per quella sensazione di gioia incommensurabile: amore. Era la prima volta che lo provavo. Così, quando la vidi scendere, anche se non era ancora la mia fermata non ci pensai neanche per un singolo secondo e mi fiondai attraverso la porta che si stava inesorabilmente per chiudere.
Lei, l’angelo che mi aveva rapito per sempre il cuore, non si era accorta di niente, non immaginava che dietro di qualche metro il suo principe azzurro, io, la stavo seguendo. Avevo assolutamente bisogno di un motivo per fermarla e conoscerla, ma la mia mente ottenebrata dall’amore non riusciva a concepire un’altra azione che non fosse camminare dietro a lei stando attento a non farmi scoprire.
Poi successe un avvenimento che doveva per forza essere opera di qualche potenza soprannaturale. Dalla tasca posteriore del suo cappotto cadde un pezzo di carta, non riuscivo a vederlo bene ma in fondo al mio cuore ne ero certo, era il suo biglietto, senza il quale non sarebbe riuscita ad uscire dai tornelli.
Avanzai verso avanti a lunghissime falcate e riuscii ad abbrancarlo con le dita della mano destra prima che fosse troppo tardi.
La chiamai e lei si girò verso di me.
“Ehi il biglietto!” le dissi. Lei sorrise e fu come se un’orchestra della Scala cominciasse all’unisono il suo concerto più importante.
“Grazie!” mi disse, al che io le risposi: “Ti va un caffè?”
Ma il suo sorriso, lì, svanì come nebbia e mi rispose: “Mi spiace sono in gravissimo ritardo” e se ne andò, svanendo nei tortuosi meandri della fermata del metro’.
Ecco, questa è la storia del mio vero innamoramento per un’angelo donna, il primo, che nonostante non si sia poi concluso in modo lieto mi ha dato la spinta decisiva per cercare la ragazza dei miei sogni, che sono sicuro è in qualche anfratto del mondo che mi aspetta.


4° Classificato
Nostos Mancato – Andrea Tupac Mollica
“Andiamo incontro alla morte”. Poi non disse altro. E il sole giallo itterico affogava nell’oceano di piombo fuso e spumeggiante, le nubi nel cielo oscuro che si accavallavano spandendo cupi brontolii nell’aria. La spiaggia, livida, e lui, in ginocchio. Gli occhi erano arpionati dagli ultimi bagliori di quel sole che stava spirando; i quell’aria una grave oppressione gli velò l’anima. “Val bene la pena di arrendersi ad un nemico si forte” Disse, e le lacrime, grigie anch’esse gli squarciavano il viso, come schegge di vetro tagliente e infido. Pianse per se, destinato ad un ritorno senza meta, pianse per coloro che erano vivi, allorché
non erano già morti, pianse per il dolore che avrebbe sofferto e, che aveva
sofferto già, per quello che mai soffrì. Le tenebre avanzavano con pigrizia, vaghi
arbusti a ovest straziati nelle foglie spinose dal sale, testardi protendevano le loro braccia in alto, rivendicando la vita per loro. Finché luci le loro rare stelle, fioche luci, come una lama d’acciaio che bagliugina, poco prima del colpo di grazia, davanti al perdente ebbro del suo sangue e stanco. Qualche impavido flutto gemendo aggrediva gli scogli frastagliati, che come una fila di orribili zanne si protendevano nel mare.
Ma il vento dell’ovest sovrastava ogni rumore: signore dell’abominio della desolazione recava i canti di morte di schiere di morti, il cozzare di lame e di legni, delle canzoni di guerra, e poi nulla. Il fardello del sonno tiranneggiò d’un tratto i suoi muscoli, appestando le ossa gelate dal vento e dal mare.
“Dolce spirare ancor prima di partire. Ma non una stilla di sangue, non una lacrima mi sarà concesso di risparmiare. Cercherò di serbare: erede di nessuno, non lascio eredi”
Poi cadde, come svenuto.


5° Classificato
Mente Solitaria – Fabio Carroccia
Avrai trovato questa lettera. Maschio o Femmina che tu sia, ciò non cambierà che quando leggerai non ci sarà più nulla da fare per nessuno ormai. Siamo tutti fregati. Non so se mi crederai, ma prima dell’ineluttabile voglio spiegarti un paio di cose su di me, e su di te magari. Se sei F, voglio dirti frena, tira un sospiro e aspetta, la smania di correre ti ha portato troppo avanti, in un luogo che ora ti sembra ottimale per le tue caratteristiche, ma ti garantisco che fra poco non sarà più così. Hai voluto, ed hai dovuto recuperare il terreno perso, ma ora accontentati di ciò che hai, bramare non ha premiato mai nessuno.
Se invece sei M, voglio dirti corri, non vedi che stai arrancando, non vedi che non puoi più andare avanti in queste condizioni. Corri, raggiungi lei, e poi avanzate insieme. Insieme si costruisce, soli si può solo distruggere.
La colpa è dell’alienazione dovuta alla velocità della comunicazione globale, e alla nostra società meschina. Un’alienazione che ti garantisco, fra forse 50 anni, si studierà nei banchi di scuola. Pensaci bene, quante volte prima di dormire avrai pensato “io forse mi salvo”, “io forse riuscirò a far qualcosa di buono nella mia vita”. Perché nella società moderna se ti realizzi vuol dire che sei un salvato, perché al giorno d’oggi ti devi salvare, e non tutti ne hanno la forza.
Io sognavo, volevo fare lo scrittore, poi ho cambiato idea.
Ho visto attorno a me milioni di persone con il mio stesso sogno, ed ho pensato che il mio era soltanto un sogno fin troppo usato. Ho proiettato la mia immagine nel futuro, e mi sono chiesto, qualora non riuscissi a realizzare il mio sogno di scrivere, che farò? Mi alzerò tutte le mattine per andare a fare un lavoro che mi fa schifo, che mi corrode giorno dopo giorno, un lavoro che non mi gratificherà mai? Penserai che io sia un pessimista. Può darsi.
Riflettici un secondo però, fingiamo che io abbia ragione, e che le mie parole siano verità. Come la mettiamo? Io non so rispondere alle mie domande, sono uno stupido, ho chiuso a chiave il cassetto perché sono stufo di nutrirmi di speranze. Oggi ho visto una vecchietta attraversare la strada, ed ho pensato. Cosa significa essere anziani? Quando il tuo fisico non risponde più come un tempo ed anche le cose più banali ti costano fatica. Giustificheresti la morte?
Meglio non saperlo, io ho la mia scelta, stupida certo, ma mia.
Ti prego di non seguire il mio esempio,vivi la tua vita a 360 gradi, forse tu sarai più fortunato/a di me e avrai tutto quello che desideri, spero solo di averti almeno fatto riflettere un po’. A differenza mia, tu, combatti!
Nella vita sii te stesso, preoccupati sempre di essere qualcosa e non leccare mai il culo a nessuno. E poi non aver paura di innamorarti, l’amore è una delle cose per la quali vale la pena di vivere.
Addio. La penna sul fianco del foglio, i Pink Floyd nelle casse. Fuori c’è il sole e la primavera. La mano si avvicina alla pistola. Trova la tempia.. Colpo secco, sbuffo di fumo, puzzo di cordite, tintinnio metallico del proiettile espulso, una pioggerella calda e rossa, buio. La lettera venne pubblicata su tutti i giornali, con il classico stupore dell’opinione pubblica. Dopo un po’ non fece più notizia e finì nel dimenticatoio, come l’uscita di un nuovo telefonino.


6° Classificato
Io, L'eremo e suor Marta – Carlo Antonicelli
Avevo sedici anni allora. Sin dal concepimento ero stato causa di dolore e fatica, per me e per gli altri. Non l’avevo poi deciso io di venire a questo mondo. E avevo visto bene. Durante l’adolescenza passai per vari collegi, pieni di preti dalle buone intenzioni. Inutile dire che scappai ogni volta che ve ne fosse la possibilità. Quando sputai in faccia al Padre Superiore mi spedirono in un eremo dove si curavano preti stravecchi in fase terminale. E fu lì che La incontrai. Quando la vidi, l’ultima cosa che mi venne in mente fu pensare che fosse una suora. E invece cazzo se lo era! Non portava il velo e non so perché. Aveva capelli castano chiaro finissimi, tagliati corti (ancora ricordo lo sfregare delle mie dita attraverso quei diafani fili di seta). Occhi grigi, due bulbi nerissimi. Alta e longilinea. Pelle bianca. Suor Marta mi aveva preso il sonno. Desideravo mettere il mio cuore malato nelle sue mani taumaturgiche! La mia fantasia cavalcava indomita su per i fili dei suoi collant, sin dove questi finivano e la morbidezza delle sue cosce mi aspettava per cogliere il frutto della passione. Nell’eremo ci dormivano solo i frati. E io con loro. Le suore arrivavano all’alba. Zelanti svolgevano le loro mansioni: pulire e disinfettare, spazzare e frizionare quei corpi consumati dal tempo. Alle sei di sera lasciavano l’eremo e tornavano nel loro convento. Potevo vederla solo da lontano: quando entrava e usciva dalle stanze dei malati. Sembrava non ci fosse nessuna possibilità che ci potessimo incontrare. Passò molto tempo prima che il destino (o Il Signore stesso, chi lo sa?) ci facesse incontrare. Accadeva che dopo pranzo ci fosse sempre un’ora di ricreazione per tutti. L’aria frizzante rendeva tutti più allegri: uomini e donne fraternizzavano amichevolmente. Anch’io mi univo alla ciurma: pensavo a quale scusa potevo inventarmi per parlarle, ma lei non mi degnava di uno sguardo.
Un giorno in cui l’autunno si affacciava alle porte, accadde l’impossibile. Si appropinquava un grosso temporale. Tutti correvano e si dimenavano, un po’ spaventati e un po’ eccitati dalla manifestazione di potenza della natura. Quando gli ultimi rimasti, in fila indiana, si stavano avvicinando alla porta per rientrare, qualcuno si nascose dietro il muro del convento per non farsi vedere da chi stava sul ciglio d’ingresso. Non mi sfuggì di chi fossero quei capelli che vedevo dall’alto. Uscì sparato fuori dalla cella, e mi buttai giù per le scale che portavano all’esterno. L’aprii e la vidi da lontano. Scappava, sotto la pioggia. Non esitai un momento e le corsi dietro. Fuggiva con tutto il fiato che aveva in corpo nel bosco. Inciampò e cadde e dopo un po’ la raggiunsi. Le sorrisi e invece di tirarla a me e fermarla, continuai a correrle accanto, tenendole la mano. Così, mano nella mano, continuammo a sfrecciare tra gli alberi. Per un momento desiderai solo continuare a correre, insieme a lei. Che importava la nostra destinazione? La foresta ci avrebbe protetto, sarebbe stata la nostra casa e il nostro rifugio dal mondo. Eravamo zuppi d’acqua, o di sudore, non so dirlo. Quando le risate si esaurirono, ci fermammo, fissandoci. I capelli fradici le si erano appiccicati sulla fronte. Faceva lunghi respiri per recuperare fiato e la camicetta bagnata lasciava intuire la rotondità del suo seno. Ci ritrovammo vicini e il suo volto mi parve aver smarrito l’inquietudine e il senso di colpa. Scostai i capelli bagnati dalla sua fronte. Era più bella che mai.


7° Classificato
La versione di Nutria – Roberta Moretti
Quella sera, rientrando a casa, mi imbattei come al solito in Nanà, detta Nutria, lavata di fresco, il pelo candido e vaporoso portato regalmente. Le feci qualche carezza e entrai in casa, dove non feci in tempo a posare la borsa che già mi si urlavano cose tipo “aprimi il cancello, che devo portare la carriola fuori”. Prima che mi si chiedesse altro, aprii il cancello e subito dopo sentii mio padre lanciare bestemmie contro ignoti. Corsi in giardino e lì la tragedia. Nanà era presa, usurpata, defraudata. Una massa marrone la umiliava con il suo peso e i suoi gesti osceni. Gli occhi di lei imploravano aiuto e io feci per scacciare l’invasore ma lui, un cane muscoloso con l’arroganza di un giovane Claudio Amendola, si diede alla fuga trascinando con sé la vittima. Li rincorsi e bloccai Nanà per le zampe anteriori. Rimanemmo immobili, loro attaccati per i genitali e io accovacciata, finché l’ego di lui non si sgonfiò e poté andare via, lasciando dietro di sé le macerie di una virtù distrutta. Raccolsi Nanà e la riportai a casa, mentre lei mi riversava addosso pipì mista ai resti della sua innocenza. Durante la cena ero turbata. Non potevo dimenticare la scena, lo sguardo implorante. Ed ero infastidita dai miei, che cenavano sereni. Mia sorella dovette leggermi nel pensiero perché mi esortò a sterilizzare subito la cagnetta. “Come, dopo quello che ha subito!” I miei si scambiarono un’occhiata criptica e allusero al fatto che Nanà fosse stata consenziente. “Era in calore” fece mia sorella “Non la vedevi sempre davanti al cancello mentre i cani del quartiere guaivano arrapati? Mi ricorda Monica, quella che quando intercetta un uomo tira le tette in fuori e smania con le ciglia per attirarne l’attenzione. Salvo poi lamentarsi che i maschi con lei si prendono certe libertà”. Quel discorso mi ferì: uno stupro era un atto violento, ingiustificato, e io avrei tutelato Nanà a ogni costo. Spiegai la situazione al veterinario, che si limitò a darmi spiegazioni tecniche che suggerivano un rapporto consenziente. Andai allora al WWF, dove un grassone dalle mani unte di salsa barbecue sbottò in una risata “Ma come fai a dì che si trattasse de no stupro? Come che è na cosa così e no che se sieno accoppiati?” Scappai via, quel balordo aveva ferito la mia sensibilità almeno quanto l’italiano. Scrissi persino all’onorevole Brambilla, il cui amore per gli animali le fa perdonare persino quella colata rosso battona sulla testa. Ma nulla. Cercai allora gli sconsiderati padroni di quell’Amendola canino. La loro era una costruzione verde ornata da minacciosi nani da giardino. Mi aprì una tipa corpulenta. Con calma snocciolai il mio credo sul valore che l’assumersi le proprie responsabilità possiede oggigiorno. Lei mi ascoltò senza palesare emozioni. Fu da un gesto che percepii del disappunto: mi sbattè la porta in faccia. La notte, nel letto, ero angosciata. Mi alzai e andai in cucina, dove Nanà dormiva accoccolata su una poltrona. Le sedetti accanto, la accarezzai e mi sciolsi in singhiozzi “Non sono stata capace di proteggerti. Potrai mai perdonarmi?” A quel punto accadde qualcosa di stupefacente: lei si tirò su e, poggiata una zampa sul mio braccio, parlò “prima di essere accolta in questa casa, ho vissuto momenti brutti: sono stata abbandonata, ho patito la fame e il freddo, mi hanno persino picchiata. Ma questo è niente, paragonato a quello che devi aver passato tu”. Fu allora che realizzai: a 34 anni vivevo ancora con i miei, senza lavoro o fidanzato. Ed ero lì, alle tre di mattina, a parlare di stupro con un cane. Capii che mi serviva un professionista, uno bravo. Gli avrei raccontato tutto, le mie frustrazioni, il perenne senso di inadeguatezza. Avrei taciuto solo un particolare: che a suggerirmi di andare da lui era stato un cane.





***Mi scuso ufficialmente con Andrea Tupac Mollica perché ieri contando i suoi voti ho mancato di aggiungere il secondo centinaio e l'ho dichiarato ERRONEAMENTE ultimo classificato (ecco perché mi era venuto il dubbio! Il racconto Nostos mancato era troppo brutto per classificarsi ultimo!!). Oggi come sempre ho ricontato tutte le schede e mentre gli altri racconti confermano con esattezza il punteggio di ieri sera, il racconto di Mollica, Nostos Mancato, ha ottenuto invece di 104 punti ben 204 punti, classificandosi 4° anziché 7°. Non cambia nulla ai fini dell'assegnazione del premio e della maggioranza schiacciante di voti aggiudicati ai primi tre racconti sul podio del Racconto Più Brutto, ma mi scuso per l'errore con Andrea Tupac Mollica e garantisco per le prossime edizioni che per il conteggio dei voti ricorrerò a degli stagisti schiavi motivati a contare con estrema attenzione da punizioni corporali.

2 commenti:

  1. Sono contento che alla fine la verità abbia trionfato!!!!!

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  2. Quel che è giusto è giusto!!!!! E il tuo racconto era troppo brutto per l'ultimo posto in classifica :)
    Un abbraccio e grazie ancora!!
    Carolina

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